lunedì 19 maggio 2008

EDITORI? INUTILI…


Parto da un’esperienza personale per provare a fare con voi un ragionamento. Il libro è La mano sinistra di Dio (Datanews, 2002). L’idea mi aveva solleticato da tempo, il materiale era molto, come pure la voglia di scriverlo.
Proposta all’editore, che mi dice di essere interessato, ma per chiarirsi meglio le idee ha bisogno della solita scheda. Butto giù la scheda e gliela mando. Solo che la scheda non serve a lui, ma al “rappresentante” del distributore, che dopo essersi fatto il suo giro tra i librai, torna con l’ordine.
Copie ordinate “X” (non mi ricordo più quante, ma siamo lontani da Il Codice da Vinci), che significa con buona approssimazione “Y” di venduto. Dato che per raggiungere il pareggio, il libro deve vendere “Z” (che è minore di “Y”), il libro si fa. Con buona pace di creatività, cultura, amore per la scrittura.
Non meravigliatevi, molte delle case editrici è così che ragionano. Ed io proprio non me la sento di criticarle. Tutt’altro. L’idea che il libro sia merce “nobile”, diversa da una lavatrice o un pacchetto di profilattici, mi sembra ormai un’idiozia. Tolti perciò i grandissimi – che hanno la possibilità di influenzare con le loro tirature le distribuzioni – la maggioranza degli editori risultano essere solo dei service. Non c’è uno solo dei piccoli/medi editori che ho conosciuto (però non è che siano così tanti) che funzioni da factory, da idea-maker, da nucleo che intorno a sé riunisca creativi, da luoghi mentali dove si cerchino di cavare i ragni dal buco che altri non hanno cavato. Banchieri e stampatori. E’ così che va. Le implicazioni sono molte. Ci tornerò. Attendo commenti al riguardo.

mami
http://downtown.blog.tiscali.it

2 commenti:

Pippo ha detto...

Caro Marco, in effetti prima o poi bisognerà scendere dal piedistallo: il libro è un prodotto industriale.
D'altra parte, lo stesso accade col cinema: i film erano più dei produttori che dei registi. Selznick era più importante di molti registi e interveniva pesantemente. Però i registi sviluppavano delle strategie di sopravvivenza per difendere la loro creatività: John Ford, per esempio, non girava un fotogramma più del necessario, in modo che il produttore non potesse rimontare a piacere il suo film. Orson Welles entrò in rotta di collisione e mal gliene (e ce ne) incolse.
Graham Greene, che personalmente ritengo uno dei più importanti autori del '900, racconta lui stesso che ricorreva al romanzo di intrattenimento per un motivo specifico: risollevarsi dopo un fiasco con un romanzo "serio".
E' questione di strategie.

MarcoS. ha detto...

be se teniamo conto che la pittura che per molti è ritenuta l'arte spesso è stata su commissione. chaplin dice che faceva i film solo per poter soddisfare il suo produttore. La domanda che mi chiedo però è come un editore riesce a determinare il venduto di un libro...su che basi si sà che tale libro sarà un successo o no?