martedì 4 dicembre 2007
Su come la vedeva Glauser sul Giallo...
(che poi è come la vedo io)
di Nicola Verde
Su come deve essere inteso il giallo (e il noir) c’è da sempre un acceso dibattito, questo a dimostrazione, io credo, della sua (loro) vitalità. C’è chi lo vede come semplice macchinetta dove il lettore è chiamato a far parte di un gioco, un puzzle da risolvere, un gioco enigmistico, e chi, invece, lo vede come qualcosa che va al di là di tutto questo, un di più (nella filosofia spiccia della letteratura di genere si parla di: ferite suturate per il giallo e di ferite suppurate per il noir. Più o meno). Il mio parere, per quello che vale, si schiera dalla parte dei secondi. Per quello che vale, dicevo, e poiché non ha un gran valore, chiamo a sostegno quello di un autorevole scrittore: Friedrich Glauser.
Glauser è stato un autore che ha operato più o meno negli anni di Simenon (al quale, per altro, lo stesso Glauser si riferiva), morto, purtroppo, giovane, ma questo, per fortuna, non gli ha impedito di lasciarci eccellenti opere.
Il suo pensiero sul giallo lo espresse in una lettera aperta indirizzata a tale Stefan Brockhoff, il quale, pure lui, s’era sentito in obbligo di stilare un decalogo su come si dovrebbe scrivere un romanzo poliziesco, lettera, quella del Glauser, che sarebbe dovuta uscire sulla Zurcher Illustrierte, che, precedentemente, aveva ospitato il “decalogo”, ma che, invece, per ragioni che non conosco, non uscì mai. Non credo sia il caso di riportarla per intero (è, comunque, possibile leggerla in appendice all’antologia dello stesso Glauser intitolata “I primi casi del sergente Studer” pubblicata da Sellerio), mi limiterò a trascriverne alcuni passi:
“Una lingua decorosa” , un’ovvietà, dice in tono ironico Glauser (ma tutta la lettera è su quel “tono”) al punto che, parrebbe, per Brockhoff, addirittura superfluo ricordarla nei suoi “dieci comandamenti”;
“(L’omicidio) avviene solo per fornire a una macchina pensante materiale per deduzioni logiche. Ammetto che possa essere affascinante. Quando il metodo era nuovo (…) Oggi è logoro – per non dire di cattivo gusto .” Insomma, Glauser parlava di un metodo “logoro” già nel lontano 1937;
“Gli uomini non sono semplicemente uomini (…) non abbiamo noi scrittori il dovere (…) sempre e comunque (senza tenere prediche, s’intende) di far notare che esiste solo una differenza, piccolissima, appena visibile tra “l’uomo malvagio” (…) e tra quello “abile, ingegnoso, dalle riflessioni puntuali?” Il suggerimento, dunque, di occuparsi più degli uomini che non della complessità della macchinetta;
“ (…) chiamo tensione scadente quella che conosce un solo scopo: la soluzione, la fine del libro.” La condanna, quindi, di quel “limitarsi” a un disegno puramente meccanico.
“Stimolare la riflessione e la meditazione durante la lettura, anche con le nostre modestissime forze e i nostri modestissimi mezzi, dovrebbe essere per noi un dovere.” Qui Glauser ci ricorda che nell’affrontare la scrittura bisognerebbe tenere una specie di “etica deontologica” che vale sia per il grande scrittore che per l’ultimo degli scribacchini (o degli scriventi);
“Cosa succederebbe se riuscissimo a creare una tensione tale per cui al lettore sarebbe quasi indifferente l’identità dell’assassino?
“Umanizzare! Fare della macchinetta automatica un essere umano.”
Ecco, in questi due ultimi passi che riporto credo sia contenuta l’essenza stessa del suo pensiero. E del mio. Tutto il resto: i dettagli, le metafore illuminati, suggerimenti ammiccanti, le ipotesi suggestive, tutto quanto lo rimando alla lettura di quella decina (o poco più) di cartelle. Poiché la questione è sempre aperta, mi piacerebbe che su questo blog si scontrassero le due filosofie.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
4 commenti:
Cavolo. Carina quella della ferita suturata e suppurata. E' tua?
(a più tardi i commenti specifici)
E' mia. Mi pare la corretta sintesi di come, di solito, vengono intesi il giallo e il noir.
Mi pare perfetta. La userò citandoti!
Per quanto riguarda Glauser, ha sostanzialmente ragione, ma d'altronde ogni scrittore decente dovrebbe preoccuparsi almeno un po' dei propri personaggi. Anche perché il lettore mica è fesso, nemmeno quello di gialli.
E' difficile spingere qualcuno a leggere 200 pagine solo per la curiosità di sapere chi a pagina 5 ha ucciso Ackroyd - questo credo sia il punto che sfugge a G.
Si può fare creando un'empatia straordinaria per il destino dei personaggi in gioco, ed è l'intendimento di Glauser, di Simenon e altri.
Ma si può anche fare con un plot stringente, dosando i colpi di scena al punto giusto, lasciando continuamente il lettore in sospeso e tralasciando un po' i personaggi: ed è quello che fanno Christie, Carr e altri.
Anche sull'"umanizzazione" ci sarebbe da approfondire: nel giallo ci sono personaggi completamente irreali e proprio per questo affascinanti.
Nero Wolfe, ad esempio. O James Bond. E non mi dire che Sherlock Holmes è realistico!
Insomma, il mondo è bello perché è avariato...
Cari Nicola e Massimo,
vorrei segnalare alla Vs. prestigiosa attenzione il mio romanzo (da assoluto esordiente), pubblicato dalle Edizioni Il Filo, che appartiene "di sfuggita" al genere giallo. Il titolo è "Aristocratici & Villani", e già dal titolo lascia supporre un confronto tra due mondi opposti.
In questo romanzo le vicende clssiche del giallo (tentativi di omicidio e omicidio compiuto) fanno da sfondo ad un romanzo ironico e ricco di colpi di scena nel quale sono i personaggi con il loro carattere caricaturale al limite del grottesco a farla da padroni. Vi è inoltre il tema delle apparenze, dell'ipocrisia nascosta sotto il velo della nobiltà e l'amicizia nascosta sotto un manto di villania.
Mi piacerebbe conoscere il vostro parere, anche eventualmente spedendoVi una copia dello scritto.
Sto cercando, infatti, di promuovere il più possibile il romanzo frequentando siti e blogs specializzati.
Certo di un Vs. cortese riscontro, ringrazio e saluto cordialmente.
per info: www.aristocraticievillani.visionidalbasso.it
oppure:
www.ilfiloonline.it/Tracce/tracce8.asp
Posta un commento