venerdì 23 novembre 2007

Presentazione di IL COMPAGNO SBAGLIATO di Stefano Bigazzi e Vincenzo Guerrazzi


Quando ho ricevuto questo libro, a leggere il risvolto, l’ho preso per un giallo, tanto più che si tratta di un genere che sui giornali seguo come recensore. E, in effetti, “Il compagno sbagliato” in superficie è un giallo, perché ci sono tutti i presupposti classici: un morto ammazzato, un indagato, dei poliziotti che svolgono un’indagine.
Ma, ad andar oltre la superficie, scopriamo che il romanzo in realtà è più un thriller politico che affonda negli anni Settanta recuperando il clima d’allora e proiettandolo in un intrigo che ha come protagonisti gruppi di extraparlamentari di diversa estrazione sociale e declinazione: ora autentici rivoluzionari, ora infidi, ora ambigui; e poliziotti, che fanno il loro dovere, ma anche, spesso, prevenuti al punto tale da ritenere presunto colpevole di reati chiunque sia collocato nella sinistra marxista.
Protagonista del libro è Luca Quartullo, militante di un gruppo extraparlamentare. E’ lui che viene ingiustamente accusato di omicidio quando, sotto i portici della zona del porto a Genova, a due passi dalla sua abitazione, viene trovato il cadavere, finito a coltellate, di un suo compagno, Massimiliano Comino.
Quartullo, che si era trovato a passare di lì con la sua ragazza, Floriana, nel momento in cui Comino stava agonizzando, aveva tirato dritto, semplicemente perché pensava al lamento di un clochard ubriaco. Per la polizia, però, l’accusa è indubbia, tanto più quando il giovane ammette, non potendo evitare la coincidenza del suo rientro notturno in casa, di aver sentito i lamenti, ma di non essere intervenuto pensando a un barbone.
Il primo sospetto che emerge è che si tratti di un regolamento di conti interno al gruppo.

Quartullo, per difendersi, è intenzionato a servirsi degli avvocati di Soccorso Rosso, ma questi ultimi rifiutano l’incarico per una serie di voci che si sono inspiegabilmente sparse nel movimento, per cui sembra che egli abbia fatto nomi e circostanze che dovevano essere taciute.
Il che non è, ma a saperlo sono solo lo stesso Quartullo e il lettore, il quale ultimo, tecnicamente, è bene che sappia tutto, perché così si rende pienamente conto dell’ambiente della militanza in cui la passione politica non è esente da sospetti, ambiguità varie, isolamenti, tradimenti, settarismi e quant’altro che rendono molto terrene, addirittura misere, anche comunità votate a palingenesi sociali di grande idealismo.
Problemi di potere, problemi di presunta purezza, per cui anche a sinistra, arriva il momento in cui c’è qualcuno che si considera più a sinistra di te e già ti trovi aggregato alla destra. E’ un po’ simmetricamente uguale in senso contrario a quello che fa Berlusconi per cui chi non sta con lui finisce dritto nel gran calderone dei comunisti.
Così Quartullo è un traditore, una spia, un reprobo, un fascista.
Ciò che succede, naturalmente, è più che sufficiente perchè il giovane, studente, figlio di contadini, sincero rivoluzionario, ormai del tutto isolato, si senta perduto.
Tanto più che anche la fidanzata, Floriana, a sua volta militante, l’ha abbandonato. Da parte di questa non un briciolo di solidarietà, nonostante sia stata testimone diretta della bontà dell’agire di Quartullo, trovandosi con lui al momento in cui aveva sentito i lamenti di Comino scambiato per barbone e poi andarci pure a letto. Non solo, Floriana, seppur figlia di un noto penalista e uomo politico democristiano, non intercede per il suo uomo neppure presso il padre. C’è da chiedersi che razza di donna sia. Si può pensare a lei addirittura come una infiltrata, una delatrice, invece continua non solo a fare la militante, ma a scegliere la parte che accusa il Quartullo.


Sicuramente Floriana è il prototipo di un certo tipo di militante: di ricca famiglia, gioca a fare la rivoluzionaria, tanto per dare un po’ di brivido alla sua vita di ragazza viziata. Così pensa Quartullo di lei, di essere una radical-chic che durante la settimana dormiva fuori “Poi, al venerdì sera tornava dai suoi: Un’ora nella vasca con idromassaggio per togliersi dalla pelle l’odore rivoluzionario e indossare i vestiti griffati. Un bacio alla mamma, uno al papà appena rientrato da Roma: la famiglia al completo con la cameriera e la cuoca.”

Non credo che Floriana rappresenti un’eccezione per l’epoca. Così come le sue idee. A letto con Luca quartullo gli fa: “Finalmente anche il Sudafrica e la Thailandia sono diventati paesi comunisti. Questo tema ieri non è stato affrontato. Che cazzo vuol dire darsi alla clandestinità? Perché dobbiamo essere clandestini in casa? Il Sessantotto è morto e sepolto. Punto. A me certi volantini dell’Unione della Gioventù Comunista-marxista-futurista-leninista, sulla lotta alle cambiali delle famiglie dei proletari, mi fanno ridere. La lotta di classe è dare a tutti la Guzzi 500 e fare le vacanze alle Canarie o in Grecia. E poi scopare, scopare e scopare su quelle belle spiagge dorate e non stare chiusi in questo gelo di merda”.
Su questi giudizi, sparsi qua e la, Bigazzi e Guerrazzi sono abbastanza pungenti e sarcastici. Perché verranno variamente espresse, anche da parte dei poliziotti, e mi sembra in maniera che mi appare oggi condivisa. Perché se è vero che il commissario Sita dice di Floriana che la dà a destra e a manca perché “darla è rivoluzionario”, leggiamo altresì nel corso della narrazione fatta dai due autori, vengono fuori questi giudizi: “Le ragazze, studentesse in amore, sfarfallavano raffiche squillanti di risate simili ad aquiloni pitturati. Staffettavano attorno ai fighi, capi-strateghi della rivoluzione”.
Insomma, tutto un ambiente un po’ radical-chic, ma anche nel quale facevano la loro comparsa spranghe, catene, bastoni, molotov, sacchetti di pietre e pistole. E si racconta di zuffe tra cortei, uno di Potere al Proletariato e l’altro di Avanguardia Rivoluzionaria.
Tutto ciò serve naturalmente ai due autori per montare intorno all’accusato quella cortina di ambiguità che serve a rendere più kafkiana l’atmosfera e, forse lasciare intravedere la possibilità che dietro ci siano lotte di potere o un depistamento dei servizi e così via, dietro il quale ci può essere anche – in maniera volontaria o indiretta – la stessa Floriana. Anche perché, veniamo a sapere, il padre di Floriana risulta in stretti rapporti con gli organi giudiziari e di potere, in particolare con i Servizi.
Al momento, comunque, risulta che questo legame del padre di Floriana con i servizi risponde al fatto che la ragazza, ingenuamente, ha parlato di Luca Quartullo in casa e il padre, di conseguenza, con l’intento di colpire le “cattive compagnie” della figlia, sia intervenuto per metterlo nei guai e allontanarlo così dalla figlia.
Altri eventi intanto si susseguono, complicando il giallo. Tra questi, una serie di omicidi, seppur in diverse città, negli ambienti dei gruppi extraparlamentari, che lasciano intendere una regia più vasta della tensione.
I soliti servizi deviati? Nulla lo esclude. Le indagini, intanto, proseguono. A condurle sono il commissario Sita e il maresciallo Lanzetta, della “omicidi”, due vecchie volpi che, alla luce di quanto sta avvenendo, ben presto si rendono conto dell’estraneità di Quartullo al delitto, anche se, per ragioni di strategia preferiscono lasciarlo, come si dice, a bagnomaria per distrarre i veri colpevoli. Un gioco che paga poco, perché ben presto anche il maresciallo Lanzetta viene ucciso. E tutto diventa ancora più torbido, con grande beneficio della trama che si fa sempre più intrigante.
Dico subito che la polizia qui non fa una brutta figura, come ci si aspetterebbe: Sita e Lanzetta rappresentano la parte pulita delle istituzioni, il che, naturalmente, non esclude che ce ne sia una sporca che trama nell’ombra. Ma questo lo sappiamo, se pensiamo alle tante stragi dell’epoca, rimaste impunite proprio perché erano coinvolti pezzi di Stato.
A riguardo, c’è da dire, più in generale, che c’è da parte degli autori una grande vocazione a ripensare quegli anni lontani, a certi ambienti, con tutte le loro ombre, oltre che con il fervore culturale che traspare nelle pagine, in certi dialoghi.
Sullo sfondo la città di Genova che è stata scelta dagli autori quale scenario della loro storia. Né poteva essere diversamente, visto che Bigazzi è nato e cresciuto nel capoluogo ligure e Guerrazzi ci è arrivato come emigrante dalla sua Calabria. Tant’è che a presentare il libro al pubblico genovese è stata la sindaco in persona, Marta Vincenzi, protagonista a sua volta di quegli anni di grande impegno, speranze ed, anche, errori.
Ma, al di là di Genova, mi sembra che il romanzo avrebbe potuto essere ambientato ovunque. Anche a Roma. Per questo siamo qui a discuterne. E passo la parola ai miei colleghi e, poi, eventualmente al pubblico che vorrà partecipare. Grazie.
(di Diego Zandel)

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